Eccoci qui con Francesca Benetti, Co-founder di Hild LTD, società inglese che si occupa della salvaguardia del patrimonio culturale. Con lei ragioneremo di recupero di antiche modalità di gestione dei territori e dei saperi, AI, e gestione del cambiamento. Buona lettura!
- Quanto il vostro metodo e le vostre tecniche di lavoro hanno subito delle modifiche in questi anni in seguito al cambiamento climatico e quanta importanza arriverà ad avere all’interno dei vostri progetti?
I cambiamenti climatici ricoprono un ruolo fondamentale nel settore del patrimonio culturale, sia per argomenti che per metodi. Il patrimonio culturale è certamente affetto da cambiamenti climatici (basti pensare a Venezia!) e la sua conservazione ci pone di fronte a dilemmi etici in quanto, purtroppo, qualcosa andrà forzatamente perso. Il settore culturale però può anche essere un fattore positivo: ci può dare spunti per progettare un futuro più sostenibile con le comunità locali e, essendo un settore con un largo ‘pubblico’, può fungere da esempio per diffondere buone pratiche. In Hild, la sostenibilità ambientale è un fattore importante: sono certificata ‘Carbon Literate’ da parte del Carbon Literacy Trust e teniamo conto delle emissioni di carbonio nella scelta delle nostre metodologie, a partire da piccole azioni di tutti i giorni come l’utilizzo del digitale invece della carta, o di policies per l’archiviazione che limitano l’utilizzo di spazio ‘web’ nei server.
- Guardando al futuro, l’intelligenza artificiale che ruolo potrebbe ricoprire all’interno del vostro lavoro?
Senza guardare troppo al futuro, l’utilizzo dell’AI è già qui. All’interno del nostro lavoro viene utilizzata principalmente per la gestione dei dati, le trascrizioni e la previsione dei rischi. Per esempio, se ne sta sperimentando l’utilizzo per la gestione della potenzialità (o del rischio) archeologico nell’ambito della pianificazione territoriale (ad esempio per decidere dove far passare una strada o piantare alberi per la sostenibilità ambientale, per scegliere zone in cui c’è una bassa probabilità di trovare patrimonio archeologico sepolto). L’AI attraverso l’analisi di dati può comunicarci le zone più “sicure” per evitare un conflitto tra capitale ambientale e storico. Non ricopre ad oggi un ruolo fondamentale ma, di certo, soprattutto nei prossimi anni, diventerà molto importante.
- La “sustainable heritage” potrebbe trarre vantaggio da politiche e normative che promuovano la sostenibilità? Se si, in che modo e fino a che punto?
Il settore pubblico e le istituzioni (almeno in UK) stanno aumentando l’attenzione al green anche in virtù degli obiettivi fissati dalla politica fra cui, il più importante, il net zero orientato al 2050. Le istituzioni, effettuando prese di posizione molto importanti a riguardo, hanno fornito spunti alle società permettendo di strutturare strategie chiare e realistiche, supportandole anche con lo stanziamento di finanziamenti. Rimane però ancora da capire se e fino a che punto questi strumenti incentivanti e finanziari siano sufficienti a supportare la transizione verso un mondo più green. Se consideriamo infatti che il patrimonio culturale non è fatto solo di oggetti e edifici, ma anche di paesaggi, costruiti dall’uomo nel corso della storia (e costantemente in corso di cambiamento!) capiamo quanto sia enorme la scala finanziaria e di quanti “attori” siano coinvolti, in larghissima parte privati. Le collaborazioni con enti del terzo settore non risulterebbero sufficienti per gestire in modo sostenibile questo patrimonio.
- Qual è il principale vantaggio e il principale svantaggio del coinvolgimento di ricercatori, istituzioni, ONG ed utilizzo di tecnologie open-source nel vostro settore?
Sono presenti alcuni progetti finalizzati al miglioramento della collaborazione fra enti, ricercatori e istituzioni, attuando in modo positivo il data sharing. Questo può portare alla creazione di database più ampi, maggiori informazioni e know-how condivisi. D’altra parte, l’utilizzo proficuo ed efficiente di questi open data e open source è molto difficile da raggiungere: i dati spesso risultano parziali o difficili da raggiungere, non sono disponibili a tutte le organizzazioni o gli operatori interessati non hanno competenze che permettano l’utilizzo degli strumenti necessari per gestire questa massa di dati.
- Come è cambiato l’immaginario legato ai beni culturali negli ultimi anni e quali saranno i prossimi scenari di lavoro?
Il settore del patrimonio culturale è molto vivo, e questo ha portato negli ultimi anni alla creazione di nuove collaborazioni, progetti inclusivi, nuove skills e nuovi modelli di lavoro. Manca però, spesso, la conoscenza di una serie di saperi che affiancano il tecnicismo di settore (digitale, business modelling, sostenibilità) che non sono ancora sufficientemente diffusi. La missione di Hild è proprio questa: sostenere gli attori del settore “cultural heritage” con un approccio tailor-made per supportare, tra le altre cose, la facilitazione della collaborazione, la raccolta dati, la loro gestione e la valutazione in maniera dinamica, contribuendo a realizzare progetti di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale che guardino davvero al futuro.
- Avresti un libro o un film da consigliare per poter approfondire il rapporto tra ambiente e cultural heritage?
Per approfondire come il nostro passato sia utile per progettare meglio il nostro futuro consiglio ‘Reinventing Sustainability. How Archaeology Can Save the Planet’ di Erika Guttmann-Bond.
Per scoprire invece come il patrimonio culturale in ambito inglese si stia già mobilitando per costruire un mondo più green, consiglio ‘Heritage Responds’ (2022), un report che contiene diversi casi studio.
NB: le interviste qui riportate non fanno parte di servizi commerciali a pagamento. Esse hanno il solo scopo di condividere idee, progetti e riflessioni tra gli iscritti alla newsletter De-LAB.