Ecco l’intervistato di questo mese: Francesco Samorè, Segretario generale di Fondazione Giannino Bassetti, Milano.
- Fondazione Giannino Bassetti (FGB) ha superato la boa dei 30 anni di attività: in che modo, dalla vostra unica prospettiva, è cambiata la narrazione del concetto di innovazione in Italia?
La nostra missione è rimasta coerente: promuovere innovazione responsabile, sollecitando in tutti gli aventi causa (cioè nella società civile, nell’impresa, nei luoghi del sapere e nelle istituzioni) la consapevolezza che un plus di sapere, quando incontra un plus di potere attuativo, può trasformare la società e in qualche caso fare la storia. Nel 1994 il discorso pubblico era tutto teso alla “mistica dell’innovazione”, quasi come una reminiscenza positivista sulle “magnifiche sorti e progressive”. Oggi la società dibatte delle implicazioni delle scienze della vita o dell’intelligenza artificiale e sembra cogliere più largamente le implicazioni anche controverse di innovazioni potenti. Da qui il recepimento, anche a livello europeo, della Responsible Research and Innovation (RRI) nei programmi settennali di finanziamento alla ricerca e innovazione, come Horizon Europe. Per paradosso, potremmo affermare che l’esigenza di responsabilità nell’innovazione oggi è manifesta, per quella che Paul Ricoeur definiva “bulimia dei mezzi, atrofia dei fini”.
- Il ruolo delle fondazioni come attori produttivi all’interno delle società è frutto di una loro mutata concezione: da meri spazi di conservazione ad ambienti di progettazione ed interazione diretta col territorio e le comunità: in che modo FGB ha saputo rinnovarsi in questo senso?
Giannino Bassetti era un industriale tessile, un innovatore nell’Italia tra le due guerre e poi del boom (per esempio dobbiamo alla sua azienda le lenzuola con gli angoli e quelle a colori), il cui rapporto col territorio è stato mirabilmente studiato da Alessandro Pizzorno nel suo libro “Comunità e Razionalizzazione”, cioè l’analisi della Company Town (Rescaldina), in cui l’azienda operava. Invece il nostro attuale presidente Piero, che ha pensato la fondazione, è stato tutta la vita uomo politico e di istituzioni: assessore, primo presidente della Lombardia, deputato, presidente dell’IPALMO (cui si deve la prima legislazione nazionale sulla cooperazione allo sviluppo) e membro di consessi internazionali come la Trilateral commission, poi ancora artefice delle riforme nelle camere di commercio… diciamo che la staticità non è mai esistita nella mente di Piero Bassetti, teso a trascendere le istituzioni che lui stesso ha attraversato o (nel caso delle regioni) ha contribuito a creare. L’intuizione bassettiana è che l’innovazione contiene potere, ma che i luoghi dove essa si manifesta sono continuamente cangianti e vanno “inseguiti” se vogliamo orientarla al bene pubblico. Per questo gli stessi corpi intermedi, le associazioni di impresa e le organizzazioni della società civile portano responsabilità in quanto protagonisti dell’innovazione. Per esempio, l’irruzione del digitale nella manifattura tradizionale, penso ai makers, ha prodotto una torsione traumatica per chi esercitava modi produttivi classici. Come Fondazione, insieme alle associazioni artigiane e alle istituzioni (dalla Triennale al Politecnico, da Regione Lombardia al Comune di Milano) ci inventammo, più di dieci anni fa, missioni e scambi internazionali per “digerire” la tecnologia e orientarla verso fini desiderabili.
- Il concetto di Responsabilità è fortemente connotato dal punto di vista valoriale e culturale: in che modo FGB riesce a mettersi in dialogo con gli attori internazionali con i quali collabora, questi ultimi caratterizzati da diverse interpretazioni di cosa sia “Responsabile”?
Come accennavo prima, l’Europa ha tematizzato la responsabilità dell’innovazione (RRI) facendone oggetto di finanziamenti trasversali: progetti il cui denominatore comune è stato una concezione della responsabilità “Bottom-Up”, tesa a coinvolgere i cittadini nel disegno delle politiche innovative a tutti i livelli, cioè anche nei piani strategici delle città e delle regioni, attraverso consultazioni pubbliche, consensus conference, metodi deliberativi, citizens jury. La nostra fondazione si è affermata su questo terreno, coordinando alcuni progetti il cui principale, attualmente in corso, si chiama REINFORCING: è il central hub europeo della Open and Responsible Research and Innovation e funziona da volano per altre progettualità “a cascata” nei territori europei che vogliano percorrere questa strada. A mio avviso è un antidoto alla visione tecnocratica dell’innovazione e ai suoi rischi per la democrazia, tantopiù all’indomani della pandemia e della cosiddetta “crisi dei saperi esperti”.
- Dal punto di vista FGB, cosa spaventa di più le imprese private quando si parla loro di “Innovazione e Ricerca” e, poi, di “Innovazione responsabile” e perchè?
Se le aziende non si sono spaventate di fronte all’avanzata del paradigma ESG, o dell’impact investing, non si spaventeranno di fronte all’innovazione responsabile! A parte gli scherzi, è nell’interesse di tutti “portare al tavolo” aziende, società civile, istituzioni e università, cioè la quadrupla elica coinvolta in tutti i progetti di questo tipo.
- Il paradigma classico dell’innovazione è stato arricchito da altri modelli tra cui quello dell’Innovazione Sociale, dell’Innovazione Frugale, ecc. Quale potrebbe essere, ad oggi, la definizione più “contemporanea” di innovazione?
Secondo Fondazione Bassetti l’innovazione è la “realizzazione dell’improbabile”: certamente negli ultimi anni è caduta la barriera tra innovazione tecno-scientifica e sociale. Oggi la riflessione sull’innovazione è una riflessione sul potere. Dobbiamo cioè domandarci: a quale sapere va il potere? Lo stadio a cui siamo arrivati, anche in termini di sfide alla coesione sociale – che non sembra essere salvaguardata dalla pur strabiliante dotazione di innovazioni tecnoscientifiche – domanda il massimo di innovazione responsabile anche nella dimensione politica.
- Potrebbe consigliarci un libro e un film per approfondire il concetto di innovazione o coglierne alcuni aspetti originali?
Consiglierei il classico film animato “La Spada nella Roccia”, per tante ragioni che però riassumo nella scena finale: il piccolo Semola, dopo il suo “romanzo di formazione” sotto l’ala di mago Merlino, ha estratto dalla roccia la spada che nessun cavaliere sapeva cavar fuori: è diventato Re, ma lo vediamo solo in una immensa sala, su un trono troppo grande per lui, con la corona sghemba e anch’essa troppo larga calcata sulla testa. Ci vedo la solitudine del potente che diventa tale suo malgrado, e cerca aiuto nel gestire la responsabilità che la storia gli ha consegnato.
Vorrei citare i Dialoghi sul Potere di Carl Schmidt, da cui sono derivate espressioni di larghissimo uso, tra cui “anticamera del potere”. Ebbene, nel passaggio in cui l’autore afferma “e all’impotente direi: non credere di essere buono soltanto perché non hai potere”, si coglie il senso della responsabilità collettiva che ognuno di noi ha, anche di fronte alla tentazione della delega o della recriminazione populista. Nessuno può dire “…tanto su questo decidono altri” a meno di non voler consegnare il potere nelle mani di pochi, senza controllo. Esattamente come accade con big tech, oggi.