- Le migrazioni internazionali sono un tema in continua evoluzione, così come le policies che tentano di controllarle e armonizzarle. Attualmente esiste un programma di OIM chiamato “Multi-sectorial support for vulnerable mobile population and communities in Lybia” finanziato anche dall’Italia con 16 milioni di euro, per lo sviluppo – tra le altre iniziative – di comunità di accoglienza, assistenza tecnica alle autorità locali (guardia costiera libica) e rimpatri volontari assistiti. In programmi così complessi la funzione di Monitoraggio e Valutazione (M&E) delle attività è cruciale: cosa succede, concretamente, in caso di irregolarità, ritardi, errori? In altre parole, qual è la catena di controllo dell’efficacia di queste attività?
Si tratta di uno dei numerosi progetti che l’Italia finanzia nel quadro della sua politica per l’esternalizzazione delle frontiere. in risposta alle criticità in tema di trasparenza e rispetto dei diritti umani di questi finanziamenti, ActionAid ha creato un osservatorio, “The big wall” (https://www.thebigwall.org) con l’obiettivo di monitorare la spesa esterna migratoria e la sua accountability. La logica che guida questa spesa è quella securitaria, di deterrenza che mira al contenimento dei flussi migratore. A farne le spese sono i migranti che subiscono violazioni sistematiche dei diritti umani ampiamente documentate anche da importanti agenzie delle Nazioni Unite. La governance di questi fondi è opaca, la due diligence sui diritti umani praticamente inesistente mentre il Parlamento non riesce a svolgere un efficace ruolo di indirizzo e di controllo.
- Si è parlato molto del Piano Mattei per l’Africa. Dal tuo punto di vista, l’Italia – caratterizzata da una dorsale imprenditoriale fatta di PMI e micro imprese – potrà inserire “altro” in un piano di tale portata rispetto a temi meramente energetici?
Non ho seguito molto il tema del Piano Mattei ma ricordo il periodo delle sovvenzioni date alle imprese per fare energia rinnovabile come investimenti diretti esteri in Africa (con casi di land grabbing evidenti). Ecco, in quel contesto, pur essendo PMI – le logiche sono state predatorie e le iniziative economiche fallimentari. Questo per dire che la dimensione delle imprese non definisce i temi di lavoro, né garantisce una particolare efficacia della politica.
- Sempre di più si parla di “Povertà multidimensionale”, che richiederebbe soluzioni integrate in grado di approcciare il problema della deprivazione da diversi punti di vista, oltre a quello economico. D’altro canto le istituzioni hanno un mandato verticale (anche per controllarne meglio l’operato), come si può – quindi – sviluppare policies integrate per problemi complessi?
Questa è una bella domanda, alla quale rispondo dal tema della povertà alimentare: un interessante esempio di complessità legata alla natura multidimensionale del fenomeno come della povertà in generale. Si dovrebbe approcciare questi problemi iniziando a concettualizzare le politiche in modo sistemico, e non in silos, e poi – secondariamente – sviluppando delle risposte in grado di indirizzarsi alla multidimensionalità sia delle cause che delle conseguenze superando una logica meramente economica della risposta al bisogno ed abbracciando la “lente dei diritti”. Oltre al tema delle risorse, nel contrasto alla povertà sono fondamentali i modelli di governance, i contesti e gli approcci. Ad esempio, per quanto riguarda la povertà alimentare ancora più importante che aumentare gli aiuti è superare un approccio di filiera, sia distributiva e redistributiva del cibo, che permea la logica delle risposte a questo problema. Assumendo invece un approccio di sistema che riesce a valorizzare le risorse non solo economiche del territorio inserendole all’interno di un sistema di governance multifattoriale capace di comprendere istituzioni, società civile, settore no-profit e imprese. anche l’innovazione degli approcci di risposta è fondamentale. Sempre con riferimento alla povertà alimentare, la sua natura multidimensionale richiesta una capacità di indirizzarsi non solo agli aspetti materiali. Come sufficiente quantità e qualità del cibo donato, ma anche “immateriali” e che fanno riferimento alla dimensione social e relazionale, al benessere emotivo e allo stigma.
- La narrazione permette di reificare la realtà. Dal tuo punto di vista ha ancora senso dire che in Italia non c’è la schiavitù, quando esistono – per esempio – i fenomeni del caporalato nella filiera del pomodoro? Oppure, ha senso dire che il Paese è democratico quando i cittadini fuori sede non possono votare a meno di sostenere le spese del viaggio di rientro nella città di residenza? Ha ancora senso dire che siamo un Paese dinamico quando si registra la più alta percentuale di NEET a livello Europeo? In altre parole, qual è il limite tra il simbolismo narrativo tipico della politica e la negazione di ineguaglianze ormai lampanti? Qual è il ruolo giocato dal linguaggio usato per raccontare (o non raccontare) tali discriminazioni sociali?
Concordo molto con questa domanda. La stessa narrazione ambivalente avviene nel caso delle migrazioni, rappresentate come un problema. In realtà i numeri dicono altro: non c’è nessuna invasione. Idem con la povertà: il reddito di cittadinanza è stato dipinto come una misura a favore degli scrocconi, invece – e i dati lo dimostrano – ha evitato il tracollo dell’indice di diseguaglianza sociale post pandemia. Da sempre la narrazione politica pecca di un eccesso di semplificazione e di un’altissima retorica. Su queste basi è difficile fare strategie serie. La responsabilità della narrazione è quella cosa che la politica che vuole decidere deve riscoprire.
- Allargando lo sguardo e ipotizzando di poter avere carta bianca, quali sarebbero le tre politiche nazionali che attiveresti nell’immediato per ridurre la diseguaglianza in Italia?
Partirei immediatamente con politiche ambientali, di Genere e del Lavoro. Ne abbiamo davvero bisogno.
- Hai un libro, o un film, da consigliarci per aggiornarci/informarci/riflettere sul tema della diseguaglianza a livello globale (o Italiano)?
Consiglio la lattura di “I signori del cibo”, di Stefano Liberti. Un interessante viaggio nelle filiere globali del cibo, uno strumento utile cogliere la diseguaglianze strutturali che ha prodotto la globalizzazione nelle filiere industrializzate del cibo che arriva sulle nostre tavole. Invece sul tema migrazioni un recente lavoro, non ancora tradotto in Italia ma spero lo facciano presto, del sociologo delle migrazioni Hein de Haas, “How Migration Really Works: A Factful Guide to the Most Divisive Issue in Politics” un libro fondamentale per farsi un’altra idea dei fenomeni migratori e capire quanto la complessità e ricchezza di questi fenomeni siano stati completamente stravolti dal dibattito pubblico e politico.
NB: le interviste qui riportate non fanno parte di servizi commerciali a pagamento. Esse hanno il solo scopo di condividere idee, progetti e riflessioni tra gli iscritti alla newsletter De-LAB.