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Poker d’assi: 5 domande a 4 imprenditori del Made in Italy > Occhialeria

Questo mese intervistiamo: Claudio Cillo, titolare di negozi di ottica in Salento.  

  • La sua storia parte da lontano, in proprio, e continua all’interno di un gruppo prestigioso a vocazione internazionale: quali sono stati i momenti più significativi della sua crescita come imprenditore? 

La mia storia inizia alle origini della professione in Italia, quando mio padre iniziò a lavorare nel settore dell’occhialeria nel dopoguerra. Seguendo le sue orme e trovando un settore completamente da sviluppare, ho potuto iniziare la mia carriera puntando su una preparazione eccellente e uno sguardo di anticipazione del futuro: avere il coraggio di fare investimenti, rinnovare l’immagine delle mie sedi, scegliere i prodotti migliori e continuare ad aggiornarmi sia in Italia che all’estero. Il vero salto di qualità è avvenuto quando insieme ad un gruppo di colleghi abbiamo dato vita a “Vision Group”, una S.P.A. che cura la distribuzione dei prodotti ottici con circa 3000 affiliati, impegnandomi nel C.D.A. per più di un decennio. Questo ha contribuito a dare notorietà al nostro lavoro utilizzando l’insegna Visionottica che è la più certificata ISO d’Italia (ISO 9001:2015/13485:2016).

  • L’occhialeria in Italia impiega circa 18.000 persone, rappresentando uno dei capisaldi del Made in Italy. Che valore dà al termine “Made in Italy”, oggi, e come poterlo supportare concretamente, a fronte della concorrenza mondiale? 

Purtroppo su questo tema non sono molto ottimista. Nel nostro settore il Made in Italy è spesso dichiarato ma dovremmo più verosimilmente dire “Ispirato al Made in Italy”. I principali produttori di occhiali producono molto all’estero, contenendo i loro costi e migliorando i loro utili. Le manifatture italiane si riducono sempre di più, anche perché all’estero stanno imparando bene come fare, quindi spesso producono occhiali validi. Un altro momento complesso per il nostro settore è stato l’ingresso dei prodotti da vista nei grandi supermercati o nelle farmacie, all’interno di un processo di vendita fast-market che ha dequalificato la professione dell’ottico, forti di una capillarità di distribuzione cui gli imprenditori indipendenti non possono far fronte da soli. 

  • Dati ANFAO parlano di un momento di crisi dell’occhialeria italiana, con dati produttivi ed esportazioni tornati al livello del 2013. Come vede il futuro del suo settore? C’è spazio per nuovi imprenditori? 

Non credo che il declino sia solo imputabile al Covid: quest’ultimo ha impattato su tutti in modo trasversale. Il vero colpo è arrivato con l’e-commerce e la distribuzione organizzata dalle stesse case produttrici, che taglia fuori il rivenditore indipendente. Nel bellunese, ad esempio, c’erano moltissime famiglie di produttori e ora sono quasi tutte sparite. Conviene produrre all’estero e vendere online o nella distribuzione organizzata. Vince l’occhiale che costa poco, di qualità modesta. 

  • Se avesse la possibilità di attuare tre interventi migliorativi nel suo settore di lavoro, quali sceglierebbe di applicare? 

La norma che regola la formazione professionale nel mio settore è del 1929. Il paradosso è che ora occorre prima laurearsi in triennale, ma poi per esercitare la professione bisogna “tornare indietro” e fare un Diploma. Trovo il percorso un controsenso e riorganizzerei questi passaggi. Poi lavorerei ad una normativa sul transito dei prodotti in Italia, verificando bene che siano prodotti davvero nel nostro Paese. Infine, mi adeguerei al resto del mondo che considera gli occhiali un presidio medico sovvenzionandone una parte del costo: in questo modo si darebbe la possibilità di cambiarli più spesso (la media Italiana di ricambio degli occhiali è ogni 5 anni, a fronte di quella globale che è ogni 2 anni) supportando il settore e dando la possibilità di cambiarli più velocemente, soprattutto ai bambini/ragazzi, per i quali l’evoluzione di eventuali difetti visivi è molto rapida. 

  • Come si considera il tema della Sostenibilità nel suo settore?

La sostenibilità è un tema principalmente usato in chiave marketing, per raggiungere un certo consumatore. Peraltro, spesso si nota del greenwashing sul tema, come quando si sottolinea l’uso di “coloranti naturali”. Non si tratta di un vero merito quello del brand che produce quegli occhiali, perché in Italia per legge occorre usare coloranti naturali non solo nel nostro settore ma anche in tutti gli altri. Ciclicamente di moda è anche la scelta dei materiali, ad esempio l’utilizzo del legno o della pelle, prodotti che di tanto in tanto segnano l’avvento di una nuova tendenza per poi svanire del tutto. Alla base di questa volatilità ci sono dei limiti tecnici: il legno o la pelle sono materiali naturali ma estremamente delicati e a contatto continuo con il viso, quindi non sempre del tutto performanti in quanto possono alterarsi nelle caratteristiche e nei colori. Ovviamente oramai quasi tutti i marchi hanno proposte green ma difficilmente si riesce a impostare una svolta di settore definitiva, basata sul tema della sostenibilità. 

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