Questo mese De-LAB ha avuto il piacere di intervistare Paolo Iabichino, esperto in comunicazione aziendale e Fondatore dell’Osservatorio Civic Brands. Ecco a voi le nostre cinque domande sull’evoluzione della comunicazione sociale. Buona lettura!
Grazie alla presenza dell’Osservatorio Civic Brands è possibile monitorare le modalità con cui le organizzazioni comunicano i propri impatti sociali: dal suo punto di vista – in quest’ultimo periodo in cui il tema ha sicuramente guadagnato spazio e attenzione – come è cambiata la narrazione del “lato umano” delle imprese?
La buona notizia legata all’approccio H2H (Human 2 Human) è che effettivamente la componente personale ha preso il sopravvento nelle narrazioni d’impresa, basti pensare al caso Nardella per Microsoft. Si tratta quindi di una matrice narrativa sempre più utilizzata. La cattiva notizia è che spesso si indugia nell’iper-narrazione, perdendo la naturalezza autentica della verità…tutto, quindi, diventa un hype, apparendo artificiale e perdendo il grip della verità. Ad esempio, usare i dipendenti come megafoni per fare people engagement significa renderli degli uomini (o donne) sandwich. L’opportunità invece è capire come far dialogare il pubblico con i propri beniamini in azienda. Questo è anche in trend legato all’età anagrafica degli imprenditori? SI, diciamo più alla loro cultura…quella visione paternalistica dell’engagement è più datata. In ogni caso, la tendenza attuale interessa sia il B2C che il B2B, quindi ci sono bellissime storie in entrambi i settori.
Nel raccontare le performance ESG delle imprese e delle organizzazioni (anche del terzo Settore) si menzionano reti, associazioni o alleanze necessarie per generare quella “massa critica” necessaria alla presenza di impatti significativi: secondo lei non si è perso il ruolo che i singoli individui – le persone – devono giocare per costruire valore dal basso?
Credo che l’impatto top-down sia più difficile da raggiungere, quindi le singole iniziative indipendenti non hanno nulla da temere, anzi. In certi casi si arriva prima da soli, come nel caso del progetto “The Clothest”, che tramite Eppela al momento sono in raccolta fondi per strutturare un e-commerce che rivende gli abiti più lussuosi tra quelli donati ai poveri, e col ricavato supporta le case famiglia che assistono i bisognosi.
Quali sono secondo lei i tre elementi che possono aiutare il fruitore di comunicazione sociale a capire se l’azienda sta raccontando una storia di impatto credibile, o è a rischio impact-washing? A cosa occorre fare attenzione per applicare un filtro critico?
Nel libro che ho scritto, “Scrivere Civile”, parlo di: credibilità, pertinenza e rilevanza. Queste sono le tre cose che tutti devono ritrovare all’interno di una narrazione aziendale che tocca temi ESG. Credibilità: la marca è credibile nel suo purpose, o è buonismo fittizio? Rilevanza: l’azienda sta agendo per una tensione culturale o sulla base di consumer insight? Pertinenza: le attività promosse hanno un senso vicino a quella marca o sono totalmente scollegate?
Riflettiamoci, per esempio, a partire dallo spot Amazon in cui si parla della felicità dei loro magazzinieri.
Tradizionalmente il Terzo Settore possiede un’estesa esperienza nel raccontare i propri impatti ESG, parte del proprio mandato e della propria identità di attore della Società Civile. Parallelamente è emerso un movimento di realtà profit che si sono legate formalmente alla generazione di finalità di Beneficio Comune (Società Benefit) ed impatti ESG certificati (B-CORP): a suo avviso la loro modalità di comunicare gli impatti si sta sovrapponendo/uniformando, o permangono differenze nel modo in cui queste due entità – profit e non-profit – raccontano i propri modelli di business responsabili?
Si stanno totalmente sovrapponendo, ma il non-profit sta prendendo il peggio del profit, appropriandosi di tematiche tossiche come la fidelizzazione del cliente/donatore, il ricorso agli influencer, ecc. E’ così che mancano i legami fiduciari e si passa dalle testimonianze ai testimonial. La collaborazione dovrebbe invece portare ad una capacità del non-profit di trasformare il profit, almeno quel profit che non è già evoluto su questi temi, come le B-CORP o le benefit, per esempio.
Ci potrebbe consigliare una lettura e/o un film, che secondo lei aiutano a capire il modo in cui la comunicazione dei valori sta cambiando?
In questo momento in cui bisogna essere particolarmente attenti a quello che la comunicazione aziendale ci dice, mi sento di consigliare un libro di recente pubblicazione: “Capitalismo Woke: come la moralità aziendale sta affossando la democrazia”, di Fazi Editore. Siamo passati da un periodo di estrema fiducia nel racconto del lato umano delle aziende ad uno in cui serve capacità critica.
NB: le interviste qui riportate non fanno parte di servizi commerciali a pagamento. Esse hanno il solo scopo di condividere idee, progetti e riflessioni tra gli iscritti alla newsletter De-LAB.