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Intervista a Luca Burinato, responsabile delle Corporate Partnership di Amref

Prosegue la nostra rubrica dedicata alle interviste “segnanti” 🙂 Oggi intervistiamo Luca Burinato, responsabile delle Corporate Partnership di Amref.

Molte imprese temono di posizionarsi su temi sociali per paura di sbagliare registro comunicativo o commettere degli errori amplificabili via social: in che modo il supporto ad una determinata causa può migliorare la posizione di alcune imprese rispetto al proprio mercato? 

Io credo che in nessun modo posizionarsi su temi sociali possa portare ad errori. Ogni realtà è giusto che comunichi il proprio impegno secondo i propri valori e il proprio sentire. A patto che questa sia una scelta consapevole e non dettata da logiche di ritorno in termini di mero profitto e visibilità. E’ finito quel tempo: è ora il momento per le imprese di essere consapevoli che supportare cause sociali e ambientali (ed eliminare le conseguenze negative del proprio operato) è una responsabilità collettiva. Un mondo insostenibile, ingiusto e iniquo non solo non deve più esistere da un punto di vista etico, ma porta con sé un elevatissimo rischio di instabilità. 

Si parla molto di “Impact Economy”, ossia di un modello di crescita finalizzato alla generazione di Impatto Sociale positivo: quali dovrebbero essere le caratteristiche di questo modello, a tuo avviso?  

Viviamo un momento storico dove le disuguaglianze hanno raggiunto livelli inaccettabili. Per rispondere in maniera efficace ai bisogni sociali bisogna affidarsi a nuovi schemi. Ecco quindi che il modello dell’Impact Economy può trasformare finanza e investimenti da speculativi a generatori di valore. 

Immagino questo modello caratterizzato da aziende stimolate a creare modelli di business la cui ambizione corrisponda alla domanda degli investitori, del mercato e dei clienti, e con questi ultimi attivi nel domandare un beneficio concreto per la comunità. I pilastri imprescindibili di questo modello sono visione, capacità di guardare al futuro con una progettualità di alta qualità, che oltre alla finanza coinvolga tutti i principali soggetti: dal pubblico, alle aziende, fino al privato sociale. Un modello di questo genere ha bisogno che in tutte le attività imprenditoriali sia integrato un sistema di misurazione e valutazione sociale e ambientale, centrale nelle politiche governative, nelle operazioni di mercato, nel comportamento degli investitori e nelle scelte dei consumatori. Una contabilità finanziaria integrata che offra strumenti concreti per trasformare l’attuale modello capitalistico, di fatto escludendo dalla partita azioni di social e green washing.

Da molti anni la collaborazione tra profit e non-profit è una realtà: ritieni che esistano dei rischi in cui possono incorrere sia l’organizzazione no profit che l’azienda nell’instaurazione di una partnership? Se sì, quali sono quelli maggiori?

Per Amref ho lavorato molto su questo fronte, e il progetto KOKONO™ in corso con De-LAB ne è un ulteriore sviluppo, una vera e propria ibridazione. 

Io personalmente non vedo rischi ma solo opportunità. Sicuramente ci vuole un cambiamento culturale su entrambi i fronti, superando la naturale resistenza che emerge nel momento in cui occorre snaturare e stravolgere meccanismi a cui si è abituati da sempre.

L’altro tema riguarda i grossi donatori (istituzioni e fondazioni): sarebbe veramente importante che si allineassero con il mutato scenario, riadattando gli attuali meccanismi di donazione che al momento sono pensati esclusivamente per enti non profit.

Il COVID-19 sta mettendo a dura prova Paesi Sviluppati e Paesi in Via di Sviluppo: quali sono le difficoltà più grandi che un’organizzazione sanitaria come Amref si trova ad affrontare in Paesi come il Kenya o l’Uganda, dove il sistema sanitario era già fragile prima dell’arrivo della pandemia? Qual è il vostro contributo in loco? 

Amref è stata in prima linea sin dall’inizio della pandemia nelle azioni di preparazione e risposta al COVID19. Le difficoltà incontrate sono state quelle operative: portare avanti gli altri programmi tenendo conto delle restrizioni, raggiungere le aree più remote, supportare un sistema sanitario già molto fragile. Inoltre, sono emerse diverse sfide legate all’impatto che la pandemia COVID-19 ha avuto su ambiti sanitari chiave tra cui l’HIV, mutilazioni genitali femminili, matrimoni precoci e forzati, benessere socio-economico dei giovani e le risposte dei Governi che in alcuni casi hanno sfruttato la legittimazione a ridurre la libertà dei cittadini, in contesti in cui lo stato di diritto è ancora molto fragile.

Il COVID e la conseguente crisi economica stanno intaccando tutti i settori economici: quali strumenti finanziari sarebbero da ripensare o da migliorare, per aiutare il Terzo Settore e le Imprese ad Impatto Sociale? 

Uno di questi è l’introduzione dei Titoli di Solidarietà, che per la prima volta portano formalmente la finanza sociale nel sistema del terzo settore, due comparti a lungo tenuti separati. In questo modo, s’incentivano investimenti in progetti con un forte impatto sociale. Oltre a strumenti finanziari ad hoc, quello che aiuterebbe molto uno sviluppo del terzo settore è un cambio di paradigma dei donatori istituzionali e organizzazioni internazionali, spostando l’attenzione da singole voci di spesa effettuate ad un finanziamento per risultato, legato a un cambiamento reale ed effettivo sul medio-lungo termine.

Secondo te, quali saranno gli elementi che caratterizzeranno il mondo del no-profit post-Covid?

Quello che mi auguro è che il terzo settore non venga messo in competizione con Stato e mondo profit, bensì venga visto come soggetto capace di contaminare entrambi i soggetti, da una parte sostenendo la trasformazione del capitalismo e trasferendo la capacità di porre l’obiettivo sociale davanti agli obiettivi di profitto, dall’altra facendo emergere creatività e innovazione dal basso che contraddistinguono il suo agire in risposta a un welfare inadeguato.

Se domani ti dessero la possibilità di far entrare in vigore una legge nel settore di cui ti occupi: quale sarebbe la tua prima mossa? Che cosa attiveresti? 

In parte si collega a quanto detto prima, e la prima cosa che farei sarebbe equiparare gli enti del terzo settore agli altri enti profit. Prendiamo l’esempio dell’assegnazione dei “ristori”. Se guardiamo i requisiti richiesti per ottenere il finanziamento a fondo perduto, capiamo subito che la norma è tarata su un modello profit che non tiene conto della tipologia di entrate degli enti non profit. Queste ultime, in generale riduzione, sostengono lo svolgimento delle attività, di interesse generale e di sostegno alle fasce più vulnerabili. Tuttavia, non essendo qualificate come ricavi, perché di natura non commerciale (per lo più donazioni, ma anche quote associative, etc.) non rientrano nel novero dei requisiti richiesti. 

Se Amref potesse fare un appello ai cittadini italiani in questo momento di crisi: cosa direbbe? 

Siate resilienti, ma anche propositivi e protagonisti di un futuro che ci appartiene. Ognuno di noi deve sentirsi attore attivo di un nuovo modello partecipativo e inclusivo che superi le disuguaglianze nelle nostre società.

Alla prossima intervista!

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