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Intervista ad Antonella Fioravanti, microbiologa premiata dall’ Accademia reale delle Scienze belga

Antonella Fioravanti, 37 anni, ricercatrice di Prato e laureata a Firenze, lavora all’Università di Bruxelles (VUB). Nel luglio 2019 ha pubblicato su Nature Microbiology il suo ultimo studio in cui è riuscita a trovare una cura più efficace per guarire l’antrace “rompendo” il guscio proteico che protegge il batterio, permettendo la sua distruzione. Capiamo perchè una microbiologa ha molto da suggerire a chi si occupa di sostenibilità e sociale. 

Ciao Antonella, grazie per aver accolto il nostro invito. Cominciamo con una domanda legata all’oggi: pare che soltanto con l’emergenza Covid si sia capita davvero la portata della nostra interdipendenza, sia a livello locale, che globale. Secondo il tuo punto di vista, questa genera più fragilità o resilienza? 

La globalizzazione permette di fare grandi cose, ma oggi come oggi va reinterpretata. Non sono contraria all’interdipendenza dei commerci e dei mercati –sono una scienziata europea, per me è fondamentale la dimensione dello scambio dei saperi – ma vanno regolate le relazioni. Occorre semplificare alcuni passaggi e regolarne meglio altri, per non perdersi in dettagli inutili salvo poi non accorgersi della pandemia alle porte.  Trovo che la fragilità cui siamo esposti ora sia proprio quella del non capire – nel mio campo – come garantire l’accesso a tutti dei vaccini anti-covid… non solo per questioni etiche ma anche pratiche: con più della metà della popolazione mondiale non vaccinata si creerà un reservoir per nuove variazioni del virus e il rischio di nuove ondate sarà alto. Queste sono le vere sfide della globalizzazione oggi. Non accorgersene, sì, genera sempre più fragilità. 

La tua formazione è italiana ed europea. Secondo te è davvero possibile lavorare localmente e pensare globalmente? Quanto è più facile/difficile nel mondo scientifico rispetto al mondo umanistico? 

Non esiste scienza senza confronto e trovo che tale confronto sia necessario anche con le discipline umanistiche. Non esisterà mai un laboratorio con tutti gli strumenti e tutte le expertise tali da affrontare un certo problema a 360 gradi. Per questo la comunità scientifica, con una dimensione mondiale, è preziosa nell’avanzamento della scienza e del progresso.  Occorre aumentare gli scambi ed i confronti tra saperi e spazi diversi in modo che si possa davvero, in tutti i settori – a partire da tutte le età – praticare l’ascolto ed incentivare un interscambio di idee necessario ad affrontare le sfide alle quali la nostra società deve far fronte ogni giorno. Non credo ci siano altre alternative per affrontare il futuro e proprio questo rapporto locale/globale va incentivato.  

Sei stata premiata recentemente dall’Accademia della Scienza Belga, prima straniera ad ottenere tale riconoscimento. Cosa significa per te “essere stata la prima”? Ti è capitato di sentirti più pioniera, isola o esempio?


Mi sono sentita veramente spiazzata e sorpresa: non avevo particolari radici culturali o affiliazioni professionali in Belgio. E’ la mia casa scientifica e non solo dal 2014 quindi non me l’aspettavo. Diciamo che ho sperimentato sulla mia pelle cosa significhi la meritocrazia più vera. Hanno premiato me, un outsider…

In una tua recente intervista affermavi che l’antrace è molto diffuso nei Paesi in Via di Sviluppo. Puoi spiegarci perchè e che rischi ci sono? Come si può controllarne la diffusione in contesti di povertà?

L’antrace è un batterio diffuso ovunque….in Italia una delle zone più colpite è il parco del Pollino, ad esempio. In EU siamo protetti grazie ad un vaccino somministrato al bestiame che evita la diffusione della malattia. Questo vaccino però non è utilizzabile sull’uomo, le soglie di rischio per la somministrazione umana sono ancora troppo alte. Nei paesi poveri dove questo vaccino non è usato, animali morti d’antrace contaminano il terreno e la vegetazione là dove la loro carcassa si decompone. Animali che si nutriranno della vegetazione cresciuta in tali aree verranno infettati e porteranno altrove la malattia, creando quello che viene chiamato il ciclo dell’antrace. Molto spesso intere famiglie si ammalano e muoiono d’antrace perché si cibano di animali infettati a loro volta. La soluzione ci sarebbe: vaccinare il bestiame ad un costo relativamente basso. Bisogna però, di nuovo, rendere i vaccini accessibili a tutti. 


Il cambiamento Climatico può impattare anche sulla diffusione potenziale dell’antrace: in Siberia, a causa dello scioglimento del permafrost, sono state avvelenate alcune renne che avevano mangiato dell’erba in una zona in cui – 180 anni prima – c’era stata un’epidemia di antrace. Secondo te il collegamento tra Climate Change ed epidemie è abbastanza raccontato? 

Si, il collegamento c’è ed è molto chiaro, nonostante se ne parli poco. Ad esempio, con l’avanzare della desertificazione il vento secco del deserto diffonde virus e batteri in climi non abituati a combatterli, generando potenziali nuove epidemie. Sono tutti effetti di un clima diverso cui dovremo abituarci, per contenere nuovi possibili outbreak. Nel Medioevo si pensava che i campi dove l’antrace si riproponeva a distanza di anni fossero maledetti… in realtà la spiegazione c’è, e purtroppo dobbiamo essere pronti a rispondere. 

A livello istituzionale, l’antrace è bandito dai trattati internazionali: ci sono altre policy che andrebbero attivate per proteggerci dalla sua diffusione? 

I trattati internazionali sono chiari: l’antrace non può essere usata come arma batteriologica. Non tutti i Paesi però rispettano questi accordi. C’è quindi bisogno di un grande lavoro di intelligence per tracciare eventuali sperimentazioni fuori controllo. Una buona cooperazione tra ricerca “civile” e “militare” é oltretutto essenziale. Si pensi infatti alla mia scoperta, ha aperto una nuova strada per la lotta all’antrace e messo le basi per lo sviluppo di nuove strategie da applicare per combattere altre malattie infettive causate da batteri patogeni.

Durante il Covid è emerso un fronte di “resistenti” alla scienza in nome della libertà di pensiero: gruppi che rifiutano di accettare il dato scientifico, complottisti o semplicemente persone impaurite dalle troppe informazioni, di cui non si fidano più. A tuo parere la diffusione di informazioni scientifiche sta sbagliando linguaggi e modalità di raggiungimento dei cosiddetti “non-esperti in materia”?  

Entrambe le cose. Per anni gli scienziati hanno sottovalutato l’importanza della divulgazione scientifica. Essere ottimi scienziati non significa saper essere degli ottimi comunicatori, bisogna studiare e formarsi anche per questo. Per molto tempo, la comunità scientifica ha lasciato il rendere più chiari ed immediati i valori dei propri studi all’iniziativa e alla dote personale. Solo recentemente si è iniziato davvero a migliorare in maniera attiva questo lato del nostro lavoro, che è necessario e fondamentale. La scienza appartiene a tutti ed ha bisogno del sostegno della società. La comunità scientifica ha il dovere d’impegnarsi nel rendere la scienza comprensibile a tutti, solo allora la società potrà apprezzare pienamente il suo valore e supportarla. In parallelo a questo credo però che si necessiti di una buona cultura del “fact-checking”, ossia della verifica delle fonti da parte di tutti i cittadini. Se non verifichiamo i fatti, non sarà colpa dei linguaggi o della scienza, ma di chi sceglie di non verificare le notizie. Gli stessi no-vax sono persone che non conoscono il tema ed hanno paura…paradossalmente è solo la scienza che può tranquillizzarli con risposte certe, ma queste devono essere divulgate in modo comprensibile.  

Se dovessi rivolgerti ai molti giovani che in Italia non trovano lavoro o non lo trovano a condizioni proporzionali alla loro formazione, cosa diresti? 

Per prima cosa, cercate di capire cosa vi rende felici e cercate di combattere per quello. Non abbiate paura di spostarvi, almeno provate! A tornare indietro con un bagaglio culturale in più si è sempre in tempo. Prendete contatti con chi vi interessa o vi incuriosisce, fate networking! Continuate a migliorarvi anche in piccole cose,  (presentare meglio, esporre meglio, quel coding che non sapevi fare, una lingua in più,..) non fermatevi mai. E poi impegnatevi per i vostri ideali qualsiasi sia il vostro campo …  ah, e visto che ci sono… fra noi giovani, se ci fosse qualcuno interessato a rinnovare la classe politica sarebbe meraviglioso: Ragazzi, fate della buona politica, ve lo chiede una scienziata!