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Intervista a Massimo Carraro

Ecco qui l’intervista a Massimo Carraro, fondatore della rete Cowo® e primo imprenditore ad aprire uno spazio di co-working in Italia, nel 2008. Oggi ne gestisce più di 100 tra l’Italia e la Svizzera e ci racconta gli aspetti più interessanti del lavorare in spazi condivisi. 

l lavoro oggi è sempre più “diffuso”, autonomo, disintermediato: potresti dirci un aspetto positivo ed uno negativo – secondo il tuo punto di vista – di questo trend globale? 

La cosa più positiva in assoluto dello scenario lavorativo attuale è che finalmente ci siamo liberati delle barriere mentali che legano l’organizzazione lavorativa a determinati luoghi. Abbiamo finalmente capito – abbiamo dovuto capirlo, a causa delle conseguenze della pandemia – che non è necessario essere in un determinato luogo, per svolgere un determinato lavoro, ci sono modi diversi e più agili di gestire bene il lavoro. 

Questo ha ricadute positive sia sulla vita delle persone, non più obbligate ad abitudini rigide e spesso improduttive (penso al tempo perso nel traffico, agli orari che mal si conciliano con gli orari dei figli…) sia ai conti economici delle aziende, che iniziano a realizzare quanto spreco ci sia nel mantenere immobili giganteschi quando la produttività non è legata ai metri quadrati della sede ma alla capacità delle persone di essere efficienti, indipendentemente da dove si trovano. Ovviamente, il tutto va considerato con i dovuti equilibri e secondo fasi progressive, però posso dirti che c’è stato un cambiamento epocale, massiccio, nella direzione giusta.

Quanto agli aspetti negativi… in sé, che il lavoro sia più “liquido” non ha necessariamente implicazioni negative specifiche: queste nascono quando le situazioni e i rapporti vengono gestiti in maniera scorretta e speculativa, ma sono modalità presenti nel mondo del lavoro, purtroppo, da sempre.

Hai fondato una catena di co-office che conta più di 100 spazi in tutta Italia: cos’ha di speciale lavorare in questi ambienti, rispetto al classico ufficio o business centre? 

Uh, potrei dirti molte cose su questo… scelgo però di dirtene una, che mi è sembrata importante subito, quando ho iniziato 14 anni fa, e continuo ancora oggi a percepire come fondamentale. La rivoluzione del Coworking lavora meravigliosamente sulla solitudine professionale ed umana. Una condizione che molti provano – basti pensare ai freelance, o alle persone che lavorano esclusivamente online, o anche ai piccoli team di lavoro, operosi ma isolati nella loro “bolla”. 

Pensi che il mercato italiano sia pronto a collaborare con professionisti così “fluidi” o in Italia è ancora prioritario – cioè più apprezzato – avere la propria società con la propria sede?  

Non è più così fondamentale, e – di nuovo – il cambiamento è molto recente, coincide con il periodo pandemico. 

Hai fatto caso come il sentire un neonato che piange in sottofondo a una telefonata di lavoro non è più visto come inaccettabile, bensì viene spesso accolto con comprensione ed empatia, con commenti del tipo “anche io sono in smart working”? Ecco: stiamo tutti capendo che lavorare bene non significa in una dimensione da alienati rispetto alla propria vita. Ci stiamo focalizzando sulle cose che contano davvero: il talento, la serietà, le competenze. E come se, liberandoci dalla schiavitù dell’ufficio, stessimo inziando a rivedere un sacco di altre cose, e secondo me le vediamo meglio.

Quindi, che tu abbia un numero fisso o un cellulare sul biglietto da visita, ormai cambia poco (anche perché i biglietti da visita stessi, come tante altre cose, non si usano più!).

Il Covid ha senz’altro impattato sull’operatività degli uffici condivisi: come sei/siete risusciti a riprendervi e come vi siete adattati a questa “nuova normalità”?

Il Covid è stato una specie di “reality check” del nostro progetto. Dico questo perché noi vediamo il Coworking in chiave di Relazione, oltre che di utilizzo di spazi. Bene, le nostre Coworking community, proprio perché impostate in questo modo, non hanno quasi sofferto l’impatto della pandemia, almeno non in termini diretti, di disdette di spazi o crollo dell’occupazione. 

Viceversa, ci sono stati casi virtuosi di dimostrazioni di attaccamento e supporto, come nei casi in cui gli utilizzatori e le utilizzatrici hanno voluto comunque pagare il servizio anche nei periodo in cui non sono potuti andare al Coworking, per sostenere il loro spazio di riferimento; o anche gesti di solidarietà, come con i Cowo® Manager che hanno deciso di devolvere alcuni proventi del Coworking ad organizzazioni di aiuto umanitario e sociale nate per combattere le conseguenze della pandemia. 

Come cambiano – se cambiano – le ricadute sociali del lavorare nei co-office in un grande città come Milano o in un piccolo centro della provincia? 

Devo dirti che le motivazioni per cui si va al Coworking sono le stesse, in una metropoli come in un piccolo centro. 

Le logiche del lavoro – quelle logiche che ci fanno ricercare il contatto, il networking, il supporto in una dimensione lavorativa più “smart” perché più ricca di opzioni – sono le stesse ovunque. La capillarità della nostra rete lo dimostra!

Come credi si evolverà il tuo settore in prossimi anni?

Credo ci sarà una evoluzione molto forte in termini numerici: sono sempre di più gli spazi di Coworking che aprono. Certo, non tutti offrono ciò che rende il Coworking un luogo dove vale la pena di andare, ossia una relazione proficua, in grado di arricchire la tua giornata lavorativa. Gli spazi che lo sanno fare, però, saranno quelli che avranno più successo, perché è la relazione il valore aggiunto vero, ed è qualcosa che non si può inventare o applicare come una pratica aziendale, occorre mettersi in gioco umanamente e professionalmente.  

Ci consigli un libro e/o un film che ti ha aiutato a capire l’attuale (o il futuro) mondo del lavoro?

Capire il mondo del lavoro… non so se è una cosa che passa dai libri, però sì, leggo dei libri su questo tema e volentieri te ne parlo. Ho appena letto “Lavorare piace” di Alain de Botton e mi è piaciuto per il suo approccio a 360°, trattato in stile giornalistico e letterario insieme. Un’opera molto interessante per il mondo “corporate”, anche per com’è organizzata, è “Startupper in azienda”, scritto da un manager delle HR in campo bancario, Roberto Battaglia. Imprescindibile, per chi invece di occupa di PMI manifatturiere, “Futuro Artigiano” del prof. Stefano Micelli, che ha vinto con questo libro un Compasso d’Oro.Ma il libro sul lavoro che ho più nel cuore è indubbiamente “La chiave a stella” di Primo Levi.

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