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Intervista al Dottor Ian Clarke

– Come è iniziata la vostra storia in Uganda? 

Siamo arrivati in Uganda nel 1987 per fornire supporto nell’affrontare l’epidemia di AIDS, che aveva il suo epicentro in Uganda (insieme ad altre malattie come la tubercolosi). A quel tempo, l’Uganda era un’area postbellica, drammaticamente bisognosa di assistenza sanitaria. Non c’erano strutture… niente…. quindi le abbiamo costruite nell’area di Kiwoko, nel Triangolo di Luweero. 

– Quali sono stati i principali ostacoli che avete affrontato e come siete riusciti a superarli? 

Gli ostacoli erano legati a quelli che io chiamo “adattamenti culturali”… cioè bisognava impegnarsi molto per fare le cose. Venendo dall’Irlanda del Nord, questo è stato frustrante. Le infrastrutture non funzionavano, non c’era elettricità e a volte le persone non si assumevano la responsabilità personale di fare le cose. Tutto ciò mi ha spinto a impegnarmi di più. Bisognava anche relazionarsi e comprendere le usanze locali, come la poligamia e il sesso intergenerazionale, che erano normali ma avevano un grande impatto sulla diffusione dell’HIV. Tuttavia, non spettava a me, in quanto straniero, giudicare quale fosse il comportamento normale per gli ugandesi.

– Come vede il futuro dell’Uganda?

L’Uganda è un Paese meraviglioso, ma la politica è onnipresente e la democrazia è debole. Il denaro viene dirottato per fini politici, quindi le risorse per i programmi quotidiani scarseggiano e si finisce per non risolvere i problemi. Inoltre, entrare in politica è visto da molti come l’unico mezzo per arricchirsi, e lo stesso settore imprenditoriale è fortemente dipendente dal sistema politico. I privilegi politici per pochi hanno prodotto una società elitaria. 

– L’istruzione e la sanità sono due settori cruciali in cui investire. Tuttavia, hanno tempi di ritorno diversi. Come si può costruire una strategia di crescita lavorando su dinamiche complesse e sistemiche? 

Ho iniziato con la sanità e poi ho investito nell’istruzione. Il nostro primo approccio è stato di tipo caritatevole, con l’appoggio della Chiesa ugandese. In seguito ci siamo concentrati sulla fornitura di assistenza sanitaria per migliorare gli standard e per essere sostenibili, in modo da allontanarci dalla carità. Ciò che mi ha aiutato ad andare avanti è stato un modello di membership medica, chiamato HMO (health membership organization), che ha attirato molti clienti/membri che venivano pagati dalla loro azienda o organizzazione (molto simile all’assicurazione sanitaria), così ho iniziato ad espandere le mie cliniche, poi ho costruito un ospedale con standard internazionali. 

L’istruzione è arrivata quando ho scoperto che la formazione degli infermieri era scarsa, così abbiamo risposto a questa esigenza avviando una scuola di formazione per infermieri, che alla fine si è trasformata in un’università di scienze della salute e poi in un’università a tutti gli effetti. 

Nella mia “terza stagione” sono passato dalla sanità, all’istruzione, all’agricoltura e ora sto investendo nella coltivazione del caffè. Applichiamo pratiche agricole sostenibili e istruiamo altri agricoltori. Naturalmente, avrei potuto rimanere in Irlanda del Nord e fare il medico come tutti gli altri, ma probabilmente mi sarei annoiato.

– Quale libro o film ci consiglierebbe per conoscere meglio l’Uganda? 

Posso consigliare un libro che ho scritto, intitolato “L’uomo con le chiavi è andato via” (il libro sarà presto ripubblicato), che racconta i nostri primi anni in Uganda all’indomani della fine della guerra civile. C’eravamo quasi solo noi e c’era bisogno di rimboccarsi le maniche. Poi suggerisco due film: 

“Mississippi Masala” e “L’ultimo re di Scozia”. 

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