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Intervista al Professor Giovanni Fosti, Presidente di Fondazione Cariplo

Questo mese abbiamo il piacere di intervistare il Professor Giovanni Fosti, Presidente di Fondazione Cariplo e Docente di Welfare e Social Innovation presso SDA Bocconi. Buona lettura! 

  1. Abbiamo letto con attenzione il suo ultimo articolo sul Sole24Ore «Strade e treni da soli non bastano, per tenere in piedi l’Italia servono infrastrutture sociali» e ci siamo ritrovati molto nella chiusa finale, in cui si sottolinea la necessità di generare fiducia come collante tra le parti, senza necessariamente vincolarsi con accordi che irrigidiscono le sinergie tra i diversi attori della comunità. La fiducia, appare quindi come un “collante naturale” su cui innestare sperimentazioni nuove, che guardino al futuro, che coinvolgano i giovani. E’ pur vero, però, che in ambito di Innovazione Sociale spesso si chiedono (agli attori che la praticano) delle “garanzie” in forma di una track record di esperienze pregresse, una identità normativa che sia “gestibile” burocraticamente, un doveroso riscontro di accountability. La domanda quindi è: come coniugare una riscoperta spontanea della fiducia come base del capitale relazionale con un trend sempre più manageriale che interessa chi si occupa di generazione di impatti sociali? 

Penso che l’obbiettivo debba essere quello di far emergere come questi due aspetti siano compatibili e altrettanto necessari. Per generare fiducia, il fattore cruciale è la condivisione delle priorità. Per arrivare a condividere priorità, sono necessari rapporti di fiducia nei quali ciascuno è disposto a guardare nella prospettiva dell’altro, ma allo stesso modo la fiducia è una condizione necessaria perchè si possa instaurare questo dialogo. La condivisione di priorità e la fiducia si alimentano quindi a vicenda. 

Se riusciamo a convergere su quali sono le priorità su cui agire, l’aspetto tecnico e manageriale poi ne consegue.  Sebbene la fiducia rimanga un fattore primario, non può portare ad uno sviluppo efficace e sostenibile se non è sostenuta da una gestione solida. Sono quindi anche necessarie le competenze manageriali per far funzionare lo sviluppo di una direzione che funzioni anche nella pratica.

2. Il progetto “Looking4″ promosso per i 30 anni della Fondazione Cariplo, si mette in ascolto dei territori per riallineare bisogni, metodi e soluzioni. Molte delle aree su cui focalizzerà l’attenzione sono aree complesse, ossia caratterizzate da dinamiche interdipendenti rispetto a fattori esterni di diversa natura, come peraltro è emerso – purtroppo in senso negativo – negli ultimi mesi (e.g. instabilità post-pandemica, gestione ambientale della crisi energetica post conflitto in Ucraina, ecc.). Come riesce una Fondazione come Cariplo a gestire la complessità nelle aree d’impatto in cui opera? E come riesce ad adattare i propri programmi a scenari talvolta instabili, senza “abbandonare” i fronti già aperti?

In un mondo che cambia così velocemente e profondamente, la chiave per capire e leggere la realtà è la capacità di stare in connessione. Per questo Fondazione Cariplo sta cercando sempre di più di muoversi in rete con altri soggetti e di stimolare la creazione di reti sul territorio. Con queste reti serve mantenere un dialogo vivo e attento a ciò che succede all’interno delle comunità. Si tratta di una tensione all’apprendimento che non va mai data per scontata ed è necessaria soprattutto in momenti di rapida evoluzione. Looking4, il percorso che stiamo svolgendo per i 30 della Fondazione, ha infatti l’obbiettivo di offrire uno spazio di incontro e riflessione per mettersi in dialogo reciproco attraverso un metodo comunitario. 

3. L’ultima domanda riguarda il tema della clusterizzazione delle comunità in cui viviamo, di cui Lei accennava nell’articolo precedentemente citato. Ci muoviamo in un contesto dove solo se si appartiene al “cluster” giusto – parafrasando le sue parole – si può godere di una serie di offerte culturali, sociali ed economiche virtuose, capaci di accrescere il potenziale del singolo. Al contrario, si farà sempre più fatica ad emergere, ad essere coinvolti in circuiti rigenerativi, a cogliere opportunità. Lei trova che in questo fenomeno ci sia stato un disegno ben preciso volto a “semplificare” la gestione dei territori e delle comunità strutturandola per livelli? E come si potrebbe rimettere in circolo una dinamica di “ promiscuità” – positivamente intesa – delle proprie affiliazioni, funzionale alla rigenerazione di comunità logorate da anni di ineguaglianze e rigidità sociali?  

L’esistenza di questi cluster è un’evidenza. Credo il punto cruciale sia allora l’atteggiamento con il quale vengono concepiti servizi e offerte. Si delineano due alternative: un atteggiamento che punta ad allestire semplicemente delle proposte oppure un atteggiamento, che in modo convinto e tenace, si prefigge di portare attivamente queste proposte a coloro che hanno maggiori difficoltà ad accedervi e che spesso sono anche quelli che ne hanno più bisogno. Questo significa cercare di intercettare le persone per coinvolgerle e offrire occasioni di crescita. L’offerta deve quindi deliberatamente andare a mirare l’uscita dai cluster, “customizzando” le proposte per nuovi pubblici e non solo allestendo soluzioni per coloro che già naturalmente vi accedono.

Intercettare le persone all’interno delle bolle, è una cosa tanto più importate se fatta per i più piccoli. Infatti, il contrasto alla povertà di opportunità deve iniziare il prima possibile. Il contrasto alle disuguaglianze non è solo una questione di welfare, ma anche di cultura. Per esempio, Fondazione Cariplo ha lanciato il bando “Alla Scoperta della Cultura” che non mira ad aggiungere tasselli di offerta culturale ma piuttosto mette in connessione opportunità che già esistono con persone che altrimenti non ne usufruirebbero, stimolando esperienze culturali locali per bambini che per esempio non sono mai andati a visitare un museo nella loro città. 

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